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Domenica, 28 Aprile 2024
Scalino19

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A cura di Antonio Marino

Oreste, fra copioni e battaglie!

Arconte, gallicese doc, sfrutta ogni energia per esaltare e divulgare quanto di più bello, animato e inanimato, la Calabria possiede

126 minuti, consecutivi, rappresentano un arco temporale lungo: apparentemente, però. Se due ore e sei minuti le trascorri con Oreste Arconte il tempo scappa via, piacevolmente.

Lui, classe 1951, fiero d’essere gallicese e reggino e calabrese, è la seconda vittima del neonato…Siparista! Di quel tizio, ci dicevamo quindici giorni orsono, che ogni due settimane andrà a sollevare il sipario che nasconde il retrobottega di donne e uomini che, con la loro vita, contribuiscono a far brillare il creato.

L’appuntamento è fissato per le ore 17 di Lunedì Santo, in piazza Duomo: entrambi puntuali, c’accomodiamo attorno a un tavolino di un bar del nostro corso Garibaldi.

“Siamo chiamati a dichiarare guerra al pressappochismo – attacca Arconte, dilagante sul nostro territorio: dobbiamo far comprendere a chi di competenza che qui, noi, non possediamo i mezzi, ma siamo titolari di originali capacità. Se fossimo, tutti insieme, disponibili a investire sui nostri talenti, ciascuno nel proprio campo d’azione e secondo le proprie sensibilità, Reggio e la Calabria cambierebbero volto, in breve”.

Tant’è che nel 1985 fonda il mensile d’informazione, formazione e cultura “Nuovo Giangurgolo”: contestualmente s’iscrive al palermitano Istituto Superiore di Giornalismo, convinto che “non ci si improvvisa mai, un sogno va realizzato con cognizione di causa”.

Oreste Arconte è drammaturgo, giornalista, regista, poeta. Nel 1976 fonda il Gruppo Teatrale Libero Gallicese: “il teatro, per me, è sempre progetto politico sociale. Il teatro forma, il teatro racconta, il teatro scopre: scrivo drammi incentrati su eminenti figure della nostra Terra poiché, attraverso la loro vita e le loro gesta, esalto e narro la storia e la geografia della Calabria.

Parliamo sempre di riscatto, al Sud – sottolinea Arconte, senza però compiere mai il passaggio decisivo: ci si riscatta conoscendo il passato, senza radici, umane e culturali, non possiamo agire nell’oggi né strutturare il futuro”.

La produzione drammaturgica d’Arconte è vasta; da “U cethru” a “Rosella Staltari – la selvaggia diventata santa”, da “U camiddhu” a “Padre Gaetano Catanoso e i sacerdoti del Cardinale Portanova”, da “Povera Calabria” a “Servo inutile – Confessioni di un vescovo, Aurelio Sorrentino”, da “I Polifroni – Storia di una ricca famiglia reggina” a “Gli amori di don Angelo Falvetti – Storia di un sacerdote nella Seminara del ‘700”, e stiamo omettendo molti altri copioni…

“Mi affascina il mondo calabrese – confida Arconte – e poiché il teatro, per essere calabrese, deve avere in sé l’anima della Calabria, i suoi colori e le sue tradizioni, nel redigere un testo teatrale parto dall’azione caratterizzante il personaggio scelto, contestualizzandolo nel suo territorio e nel tempo storico in cui agisce. Compio, poi, un certosino lavoro nella scelta delle parole, che nell’insieme andranno a offrire quel quadro sociale che desidero esaltare e far conoscere.

Ogni parola c’è perché a me ha provocato una vibrazione: se non m’emoziona non la metto. Ci torno su, vado, come si suole dire, avanti e dietro: dentro la parola c’è tutto, è azione, è vita, è sentimento”. Ecco perché, svela Arconte, “nelle settimane antecedenti la stesura del dramma, studio, leggo libri, anche cinque insieme, che mi aiutano a costruire quel mondo all’interno del quale poi mi troverò a mio agio, e, peregrinando entro i suoi confini, troverò quei passi e quelle parole, dette dal personaggio protagonista, che mi suggeriranno come impostare l’azione”.

Appena quindicenne Oreste Arconte è tra i fondatori del Gruppo Teatrale “Salvatore Gallo”: tal Gallo era un gesuita, catanese, direttore responsabile di Radio Vaticana, che per un mesetto soggiornò dai saveriani, a Gallico, per rimettersi un po’ lungo il tempo della malattia, che lo avrebbe condotto faccia a faccia col buon Dio… Quel Gallo, “uomo e prete carismatico, provocò in noi il desiderio del servizio e la voglia di crescere: cominciammo a sporcarci le mani col teatro…!!!”

Nel 1981, alla Libreria Gangemi, allora sul corso Garibaldi, Oreste Arconte riceve in dono “Le novelle” di Saverio Strati. È la svolta: lì, fra quelle pagine, Oreste becca quei sentimenti e quei profumi che gli rimbalzavano fra mente e cuore, ma che ancora non s’erano pienamente appalesati.

Ne “La selvaggina”, sempre di Strati, Arconte ritrova la fatica e la dignità del papà, un Uomo che innanzi al lavoro non si tirò mai indietro e che col solo sudore della sua fronte diede opportunità e serenità alla famiglia sua: lo riduce, Oreste, in forma teatrale. E da quel momento, nell’animo suo, l’ardente fiamma della scrittura teatrale, e non solo, non l’abbandonerà più.

E con Saverio Strati stringerà amicizia, ne verrà fuori una bella intesa culturale, ma anche umana: “gustava, a casa mia, il pescestocco e il vino di San Giovanni”, rivela Oreste al Siparista avido di notizie segrete…! Nel 1980 Arconte è, anche, presidente della circoscrizione Gallico-Sambatello.

Affonda, all’epoca di quel servizio, l’impegno a ridar vita al teatro di Gallico, distrutto da un incendio negli anni ’60:
“tutt’oggi, nonostante il cantiere, avviato grazie a Italo Falcomatà, sia fermo dal 19 aprile 2017, spendo energie per cercar di far capire che Gallico merita un struttura teatrale sia per motivi storici, poiché è un quartiere con tradizione teatrale, sia per valorizzare le periferie, rendendo la città ancor più grande, accattivante e turisticamente attrattiva…”

Oreste ricostruisce l’intero cammino, burocratico politico umano, che sta alle fondamenta di quel cantiere trascurato… Gli si illuminano gl’occhi allorquando ricorda determinati passaggi, vissuti in prima persona, vissuti con un solo obiettivo: “restituire a un territorio un bene che, di certo, non gioverà a me, ma a quanti vorranno dedicarsi, con forze fresche, a quell’affascinante cosa che è il bene comune”.

E ancora: “siamo una Terra ricca di gruppi teatrali amatoriali. Facciamoli crescere, diamogli l’opportunità d’avere una piazza o un tetto: se fatti maturare, con criterio, possono sognare di compiere il salto nel professionismo…” Epperò: “ci vuole umiltà, voglia di approfondire, desiderio di curare il più piccolo dettaglio, disponibilità a ricevere correzioni e ad allargare gli orizzonti”.

A proposito di orizzonti: guadagnando, entrambi, il lungomare, dove avevamo lasciato le rispettive automobili, Oreste scruta con sorriso sornione la dirimpettaia Sicilia: “Debora, mia moglie, è messinese. Ci siamo conosciuti nel 1982, in estate, in occasione di un viaggio in Grecia.

Ci siamo sposati il 3 dicembre 1983: è maestra di pianoforte ed è una donna dalla spiccata sensibilità, umana musicale culturale. Lei, insieme a Caterina Figliolia, docente al reggino Conservatorio Cilea, organizzava, all’interno della Settimana Teatrale Gallicese – che insieme al Gruppo Teatrale Libero Gallicese creammo nel 1979 – una serata dedicata alla Lirica, coinvolgendo anche artisti di fama nazionale”.

E se don Demetrio Fortugno fu il parroco che tanto lasciò nell’animo del giovane Oreste, oggi Arconte è pure presidente del Serra Club, “un’associazione cattolica – leggiamo sul sito internet – che, con la tipica struttura del “club service”, si propone la diffusione della cultura cristiana e si impegna a promuovere nella società civile una cultura favorevole alle vocazioni fondamentali della vita, in particolare a quelle al sacerdozio e alla vita consacrata”.

E l’ultima domanda non poteva non riguardare il nostro Seminario Arcivescovile: “è l’ultimo baluardo rimasto alla nostra Reggio. C’è perché alle spalle ci sta una storia religiosa e civile, da custodire, soprattutto da far conoscere e da difendere”. Oreste mette in moto, la macchina s’allontana. Buona Vita Oreste! Soprattutto, buona Giornata Mondiale del Teatro, che sarà domani, 27 di marzo!

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